Il congresso di Utrecht come luogo di scambi culturali
Al congresso di Utrecht del 1712 si riunì un gran numero di plenipotenziari, venuti da tutta l’Europa, e vi si fermò per diversi mesi. Alcuni di questi stranieri erano già stati nella città delle Province Unite, altri imparavano a conoscerla. Il saggio si concentra sui rapporti tra gli inviati e la società olandese, caratterizzata da una certa tolleranza religiosa che implicava anche una certa libertà d’espressione, e dominata da una particolare cultura borghese. I negoziatori, appartenenti spesso all’alta nobiltà, abituati ai sistemi monarchici e curiali, desiderosi di condurre una vita confortevole e di divertirsi, trascendevano le abitudini olandesi, introducendovi forme di libertinaggio che alimentavano le cronache mondane di allora. In seguito il ricordo di questo congresso sarebbe rimasto contrastante nella stessa città, accusato di aver sconvolto i costumi virtuosi degli abitanti. Viene esaminata anche la società dei diplomatici come si conformò a Utrecht. I plenipotenziari dovevano tener conto dell’esistenza di sistemi politici diversi che, tra monarchie autoritarie, monarchie moderate o repubbliche, richiedevano ogni volta un modo di rapportarsi diverso. Neppure le responsabilità degli inviati erano identiche. Benché si parlassero numerose lingue, sembra che si facesse volentieri ricorso al francese. I negoziatori lavoravano, ma intendevano anche divertirsi, attirando nella città numerosi attori e commedianti. Nacque inoltre una sociabilità particolare, contraddistinta da grande prudenza e vigilanza. Nonostante le barriere politiche, religiose e linguistiche si delinearono non poche affinità culturali. Infine si analizza il mondo che si sviluppò intorno ai diplomatici. Gli informatori più o meno segreti entrarono in contatto con viaggiatori curiosi. Le corrispondenze che intrattennero, le gazzette che redassero, gli studi e i trattati a cui pensarono, tutto ciò contribuì a costruire la memoria del congresso e della città che l’ospitava.